2 giugno 2016: le donne scendono in piazza in varie città d'Italia per gridare la rabbia contro la violenza sulle donne e chiedere impegno e soluzioni per cambiare la cultura maschilista che ci travolge e danneggia tutte e tutti.
mercoledì 1 giugno 2016
mercoledì 3 giugno 2015
Altradimora aperta: una proposta per chi ama la condivisione
Una proposta di free sharing culturale per affrontare la crisi (no solo economica), ma anche di senso) con la condivisione e lo scambio artistico e materiale.
PER CHI:
Sei una
musicista, una scultrice, una scrittrice, una poeta, una pittrice, un’artista, una
creativa? Hai bisogno di un luogo tranquillo dove trovare riposo, solitudine,
concentrarti e creare?
DOVE:
Altradimora si trova a 8 km da Acqui
Terme, nel basso Piemonte, ad 1 ora da Genova, 2 ore da Torino e da Milano. Ad
Acqui ci sono le belle terme con acqua sulfurea, con piscine e centro
benessere.
Altradimora, luogo di formazione, riunioni,
incontri ed eventi culturali, (dove la rivista Marea ha realizzato dal 2009 sette seminari di Officina dei saperi femministi, è stato pensato e voluto da Monica
Lanfranco, giornalista, autrice e formatrice.
COSA:
Altradimora, (sul modello delle
case per scrittori/ scrittrici e in generale per le persone che fanno cultura e
arte esistenti in diversi paesi del mondo), offre la possibilità gratuitamente di soggiornarvi a chi fa
cultura ed è disponibile a condividere.
COME
FUNZIONA
Altradimora è disponibile per
soggiorni di week end o più giorni, previo accordo.
Si accede al
soggiorno (in stanza singola con bagno) a queste condizioni:
1.
Partecipare
alla pulizia della casa, che deve essere lasciata in ordine in ogni sua parte a
fine soggiorno.
2.
Disponibilità
a lavorare alla gestione della struttura (tagliare il prato, giardinaggio,
differenziata, pulizia, commissioni se necessario, lavori di miglioria della
casa e della dependance).
3.
Lasciare gratuitamente
una propria opera (di scrittura, musica, pittura, scultura a seconda del proprio
talento) con documentazione video/audio/fotografica del lavoro creato nel periodo
di soggiorno.
4.
Partecipare
alle sole spese vive (cibo, luce, gas, acqua) per il periodo di permanenza.
Chi volesse soggiornare più a lungo e
offrire un seminario, un momento di musica, di lettura e scrittura collettiva,
un laboratorio artistico aperto al pubblico può presentare un progetto in
questo senso con almeno un mese di anticipo rispetto alla data del soggiorno
proposto.
PER
ULTERIORI INFORMAZIONI, PRENOTAZIONI E PROPOSTE SCRIVETE A
monica.lanfranco@gmail.com e
visitate i siti www.altradimora.it www.monicalanfranco.it
sabato 11 aprile 2015
20 anni di Marea: la mostra, gli eventi, la memoria e il futuro
di Monica Lanfranco • Come si raccontano 20 anni di editoria femminista di un trimestrale autogestito in un paese come l’Italia, il cui ultimo lustro è stato quello (anche) del berlusconismo, della vittoria dei valori del liberismo e della fine della sinistra?
Forse provando a raccontare perché abbiamo scelto quattro temi per gli eventi pubblici, perché ne abbiamo condivisi due, (l’apertura e la chiusura), con Torino e Imola e come abbiamo concepito la mostra che per dieci giorni, dal 18 al 28 marzo 2015, ha spiegato Marea a Palazzo Ducale a Genova, mostra ed eventi che a breve saranno on line al sito della rivista e sui social.
I temi che abbiamo scelto di evidenziare per raccontarci sono quelli ai quali la rivista ha dedicato più attenzione nel corso della sua vita: la politica, la memoria, il sessismo, la laicità.
• Politica: è sembrato ovvio invitare la prima femminista europarlamentare eletta in un partito femminista. Soraya Post, madre di origine rom e padre ebreo tedesco, è la prova che non solo un partito femminista è possibile, ma che è votabile anche dagli uomini, visto che in Svezia Feminist Initiative ha preso il 5,5 dei consensi. Post e Kristin Tran, giovane fondatrice del partito, hanno pacatamente spiegato che il femminismo è una visione politica per uomini e per donne, e che sono proprio le differenze tra le donne che possono, se unite, creare consenso per un nuovo modo di intendere il governo della società. Ha fatto loro eco Lorella Zanardo, scintilla iniziale dell’incendio che ha portato il disvelamento dell’abominio nel quale l’immagine e l’immaginario sul corpo delle donne erano caduti grazie alla tv spazzatura: Zanardo ha dichiarato di aver decisamente meno potere rispetto a quando stava fuori dall’Italia, ma ha anche ammesso di stare meglio rispetto alla pressione che comunque ancora oggi le donne subiscono nei luoghi di potere e di comando. Né la sua presenza né quella di una europarlamentare davvero inedita hanno suscitato alcuna curiosità presso la stampa nazionale: sollecitati più e più volte i media non si son visti, e questo dà da pensare.
• Memoria: a 92 anni Lidia Menapace, una delle ultime resistenti nonché femminista e costituente, ha regalato a chi era ad ascoltarla dei lucidi lampi di sapere e saggezza, stimolata a ragionare su alcune delle parole che hanno costellato i numeri di Marea.
• Memoria: a 92 anni Lidia Menapace, una delle ultime resistenti nonché femminista e costituente, ha regalato a chi era ad ascoltarla dei lucidi lampi di sapere e saggezza, stimolata a ragionare su alcune delle parole che hanno costellato i numeri di Marea.
Lidia non sapeva quali parole avremmo a lei proposto, e ha incantato la platea con la sua fresca capacità di connettere vari campi della conoscenza all’impronta, senza un canovaccio preparato prima. Giusto per la cronaca stesso disinteresse mediatico per il secondo evento.
• Sessismo: a poco più di trent’anni e a non più di venticinque le due autrici/attrici della web serie Sesso&calcio sono l’orgoglio delle femministe più attempate: hanno saputo con leggerezza e mai trivio o banalità parlare di sessismo usando la passione di una delle due: il calcio. Maria Beatrice Alonzi e Giorgia Mazzucato, un duetto perfettamente mixato di candore artistico, passione comunicativa e accorta imprenditorialità sono state un’oasi di intelligenza e umorismo, e un balsamo per le numerose ferite inferte da chi, persino all’interno dei movimenti, pensa che tutte le giovani donne siano ormai perdute e disinteressate al femminismo.
• Laicità: è dal 2006, (anche se in modo non così approfondito già a Punto G nel 2001) che Marea rappresenta un presidio culturale e politico rispetto al tema della laicità. Terreno assai scivoloso, perchè se con facilità nei movimenti delle donne così come in quelli misti si critica il fondamentalismo cattolico, e in parte quello ebraico non così è per quello islamico.
La ‘religione delle vittime’, con il suo portato devastante soprattutto nei confronti del corpo femminile, della libertà delle donne e la visione delle relazioni sociali e famigliari è faticosamente messa sotto accusa, e il timore principale è quello di essere accusati/e di connivenza con il razzismo o con l’islamofobia. “Your home is burning”, disse Marieme Helie Lucas, studiosa del Wlums (women living under muslim laws) e fondatrice del sito Siawi (secularism is a women issue): che la nostra casa bruciasse, e non ce ne accorgessimo, pensando che l’uso politico dell’islam non riguardasse l’Europa, è risultato chiaro molti anni dopo quell’affermazione, pronunciata nel 2006 in occasione dei tre giorni organizzati da Marea dal titolo La libertà delle donne è civiltà. Da allora in Europa si sono affermate due visioni antitetiche di approccio nel rapporto con la laicità: quella multiculturale (diffusa nel mondo anglosassone) e quella contraria al multiculturalismo (diffusa in Francia e in generale nei paesi del nord). Che il multiculturalismo faccia male alle donne lo aveva capito nel 1998 Susan Moller Okin, che nel suo saggio dimostrava già allora che considerare i diritti fondamentali non universali e praticare il relativismo, come vuole la visione multiculturale, danneggia prima tra tutte le donne, perché sono proprio i diritti delle donne quelli travolti, negati e distrutti nell’alleanza tra patriarcato, integralismo religioso e destra politica.
La ‘religione delle vittime’, con il suo portato devastante soprattutto nei confronti del corpo femminile, della libertà delle donne e la visione delle relazioni sociali e famigliari è faticosamente messa sotto accusa, e il timore principale è quello di essere accusati/e di connivenza con il razzismo o con l’islamofobia. “Your home is burning”, disse Marieme Helie Lucas, studiosa del Wlums (women living under muslim laws) e fondatrice del sito Siawi (secularism is a women issue): che la nostra casa bruciasse, e non ce ne accorgessimo, pensando che l’uso politico dell’islam non riguardasse l’Europa, è risultato chiaro molti anni dopo quell’affermazione, pronunciata nel 2006 in occasione dei tre giorni organizzati da Marea dal titolo La libertà delle donne è civiltà. Da allora in Europa si sono affermate due visioni antitetiche di approccio nel rapporto con la laicità: quella multiculturale (diffusa nel mondo anglosassone) e quella contraria al multiculturalismo (diffusa in Francia e in generale nei paesi del nord). Che il multiculturalismo faccia male alle donne lo aveva capito nel 1998 Susan Moller Okin, che nel suo saggio dimostrava già allora che considerare i diritti fondamentali non universali e praticare il relativismo, come vuole la visione multiculturale, danneggia prima tra tutte le donne, perché sono proprio i diritti delle donne quelli travolti, negati e distrutti nell’alleanza tra patriarcato, integralismo religioso e destra politica.
Peccato che spesso sia anche la sinistra, come hanno argomentato a Genova, Torino e Imola la stessa Lucas, Maryam Namazie, Inna Schevchenko delle Femen e Nadia El Fani, regista tunisina di Laicitè inshallah, ad avallare questa posizione.
Per chi non ha potuto partecipare ai dieci giorni di eventi c’è la possibilità di rifarsi, almeno in parte, con le pillole video, audio e immagini al sito www.mareaonline.it, e sulle pagine twitter e facebook di Marea e di Marea compie 20 anni e su Google plus. Senza dimenticare che, per andare avanti, Marea ha bisogno di nuove abbonate e abbonati.
sabato 11 ottobre 2014
Déjà vu Genova. La pessima politica, la storia che si ripete, gli angeli che tornano
Oggi come nel 2011. Stessi torrenti, stesse bombe d'acqua, stesse sorprese. Stessa politica che - invece - non ci stupisce mai: non cambia, non sistema nulla, non previene nulla, non dà risposte, non soccorre, non individua responsabili.
Nel lutto che si rinnova riproponiamo, qui, immagini di 3 anni fa, con le parole di ragazze e ragazzi, angeli del fango: politici sordi e irresponsabili, ascoltatele.
sabato 27 settembre 2014
Ma che bella differenza!
Azioni Politiche di Donne: proposte e buone pratiche per affrontare il sessismo, l’omofobia e il razzismo attraverso favole, storie e corsi per le scuole.
Presenti a Ma che bella differenza! oggi, con i loro interventi Irene Biemme (Scienze della Formazione Un. di Firenze, autrice di "Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari"); Pino Boero (Ass. Scuola Sport e Politiche Giovanili; docente presso Dip. Scienze della Formazione); Giulia De Franchi (di Scosse, coautrice dei corsi “Educare alle differenze”); Monica Martinelli (Ed. Settenove, progetto culturale di prevenzione alla violenza); Anselmo Roveda (Scrittore).
Un tassello di un più ampio percorso per contrastare gli stereotipi di genere (vi segnaliamo in merito questo pezzo di Stefania Prandi), nell'interesse di tutti e di tutte.
Un tassello di un più ampio percorso per contrastare gli stereotipi di genere (vi segnaliamo in merito questo pezzo di Stefania Prandi), nell'interesse di tutti e di tutte.
giovedì 31 luglio 2014
Chi ha paura dell’equa rappresentanza di genere nelle istituzioni?
di Monica Lanfranco
Un passo avanti, due
o tre indietro: si potrebbe riassumere così il tormentato stato delle cose sulla
parità di genere nella rappresentanza in Italia.
A novembre del 2012 il consiglio regionale pugliese bocciò la proposta di legge d’iniziativa popolare, sostenuta da oltre 30mila firme. L'obiettivo era modificare la legge elettorale regionale introducendo la doppia preferenza, cioè l'equa rappresentanza numerica, maschile e femminile, nelle liste elettorali e l'obbligo di esprimere sulla scheda due preferenze, una maschile e l'altra femminile.
Un anno dopo invece, a maggio, in oltre 700 comuni si votò così, e in un video promosso dalla Rete per la parità e dal sito della Rete delle reti si fece anche un po’ di umorismo per diffondere l’informazione…
A novembre del 2012 il consiglio regionale pugliese bocciò la proposta di legge d’iniziativa popolare, sostenuta da oltre 30mila firme. L'obiettivo era modificare la legge elettorale regionale introducendo la doppia preferenza, cioè l'equa rappresentanza numerica, maschile e femminile, nelle liste elettorali e l'obbligo di esprimere sulla scheda due preferenze, una maschile e l'altra femminile.
Un anno dopo invece, a maggio, in oltre 700 comuni si votò così, e in un video promosso dalla Rete per la parità e dal sito della Rete delle reti si fece anche un po’ di umorismo per diffondere l’informazione…
Ma, poco dop, alla Regione Sardegna si
ripetè il copione pugliese. E’ di ieri la notizia che il ConsiglioRegionale della Liguria ha approvato un testo di legge elettorale nel quale le
liste dovranno sì essere composte al 50% da entrambi i sessi ma senza doppia
preferenza di genere, con la quale si è votato invece per le Europee. Prima del
voto la Commissione Regionale ha ascoltato la Rete di donne per la politica,
nella quale sono presenti quasi tutti i gruppi di attiviste di Genova. Sembra
che, oltre all’esito non fausto, l’incontro sia stato istruttivo (in negativo)
perché ha evidenziato come un’istituzione intermedia, come la Regione, non
lontana come può apparire il Parlamento nazionale o quello Europeo, mostri un
volto decisamente non amico nelle relazioni con la cittadinanza, per non
parlare dell’assenza di cultura di parità. Laura Guidetti, che era
all’incontro, ha scritto una memoria di quelle ore di audizione che vale la
pena di condividere, perché è uno spaccato di un pezzo di ‘democrazia’ istituzionale
in Italia. Laura scrive:
A cominciare dall’accoglienza le cose non sono andate bene: abbiamo dovuto dare i nominativi 24 ore prima, i dati personali sono stati trascritti all’ingresso senza dire se sarebbero stati conservati o distrutti a fine giornata (e la privacy?); l’audizione sembrava una interrogazione scolastica, non un gruppo di cittadine che interloquiva con rappresentanti eletti: ci viene spiegato che dopo l’illustrazione delle nostre ragioni i consiglieri possono fare domande ma noi no. Il presidente della commissione dà la parola ai consiglieri chiamandoli per nome e cognome, dando per scontato che noi li si conosca e si sappia a quale gruppo politico appartengano, nessuno si presenta. Al tavolo della commissione su venti persone solo tre donne: due impiegate dell'ente, una consigliera. L'impatto è notevole, si parla di riequilibrio di genere e basterebbe guardarsi attorno per averne una visione più chiara e diretta di qualunque discorso. Chiediamo tre cose: che nelle liste i nomi delle candidature siano alternati; che si possano esprimere due preferenze purché siano per candidati di sesso differente (cosiddetta doppia preferenza di genere); che le candidate abbiano pari accesso ai media durante la campagna elettorale. E’evidente da subito, negli interventi dei commissari, che il problema è di fondo: c'è chi pensa che le donne nei luoghi della rappresentanza e del potere siano un'anomalia per la democrazia, e creino instabilità e scompenso; c'è chi non si vergogna a dire che la seconda preferenza, sicuramente di genere femminile, è una "seconda scelta", uno scarto, un voto di serie B e che questi voti porterebbero nei consigli elettivi persone (donne) non competenti, perché è evidente che la prima scelta è costituita da candidati maschi di fatto eccellenti; c'è chi si arrampica facendo ipotesi fantapolitiche secondo le quali si potrebbe candidare e far eleggere la propria moglie e pertanto arrivare a disporre di due voti in consiglio (perché la moglie, si sa, sarebbe una minus habens facilmente manovrabile); in questo mercato non manca chi ci chiede se la quota del 30% di donne nelle liste per noi sarebbe sufficiente”. La memoria di Laura è ancora lunga, e chi vorrà potrà leggerla per intero su facebook: mi pare comunque istruttivo e rivelatore come, mentre si danno, quasi con fastidio, acquisiti e scontate diritti e parità, la strada è ancora lunga. Se l'umanità è fatta di uomini e donne, scrive Laura, è bene che siano rappresentati entrambi i generi in queste istituzioni,(anche se non mi piacciono così come sono) per addestrare i nostri cervelli a vedere facce e corpi di donne in ogni luogo e occasione, perché diventi 'normale' notare quando ciò non accade.
A cominciare dall’accoglienza le cose non sono andate bene: abbiamo dovuto dare i nominativi 24 ore prima, i dati personali sono stati trascritti all’ingresso senza dire se sarebbero stati conservati o distrutti a fine giornata (e la privacy?); l’audizione sembrava una interrogazione scolastica, non un gruppo di cittadine che interloquiva con rappresentanti eletti: ci viene spiegato che dopo l’illustrazione delle nostre ragioni i consiglieri possono fare domande ma noi no. Il presidente della commissione dà la parola ai consiglieri chiamandoli per nome e cognome, dando per scontato che noi li si conosca e si sappia a quale gruppo politico appartengano, nessuno si presenta. Al tavolo della commissione su venti persone solo tre donne: due impiegate dell'ente, una consigliera. L'impatto è notevole, si parla di riequilibrio di genere e basterebbe guardarsi attorno per averne una visione più chiara e diretta di qualunque discorso. Chiediamo tre cose: che nelle liste i nomi delle candidature siano alternati; che si possano esprimere due preferenze purché siano per candidati di sesso differente (cosiddetta doppia preferenza di genere); che le candidate abbiano pari accesso ai media durante la campagna elettorale. E’evidente da subito, negli interventi dei commissari, che il problema è di fondo: c'è chi pensa che le donne nei luoghi della rappresentanza e del potere siano un'anomalia per la democrazia, e creino instabilità e scompenso; c'è chi non si vergogna a dire che la seconda preferenza, sicuramente di genere femminile, è una "seconda scelta", uno scarto, un voto di serie B e che questi voti porterebbero nei consigli elettivi persone (donne) non competenti, perché è evidente che la prima scelta è costituita da candidati maschi di fatto eccellenti; c'è chi si arrampica facendo ipotesi fantapolitiche secondo le quali si potrebbe candidare e far eleggere la propria moglie e pertanto arrivare a disporre di due voti in consiglio (perché la moglie, si sa, sarebbe una minus habens facilmente manovrabile); in questo mercato non manca chi ci chiede se la quota del 30% di donne nelle liste per noi sarebbe sufficiente”. La memoria di Laura è ancora lunga, e chi vorrà potrà leggerla per intero su facebook: mi pare comunque istruttivo e rivelatore come, mentre si danno, quasi con fastidio, acquisiti e scontate diritti e parità, la strada è ancora lunga. Se l'umanità è fatta di uomini e donne, scrive Laura, è bene che siano rappresentati entrambi i generi in queste istituzioni,(anche se non mi piacciono così come sono) per addestrare i nostri cervelli a vedere facce e corpi di donne in ogni luogo e occasione, perché diventi 'normale' notare quando ciò non accade.
martedì 17 giugno 2014
Italia, mondiali e bagno di sangue
Possiamo proporre che, alla prossima partita della Nazionale, giocatori e spettatori portino il lutto al braccio?
Sono tantissime le comunicazioni che, a poche ore dalla strage
familiare di Motta Visconti (alla quale sono seguìti altri due femminicidi),
continuano incessanti tra gruppi, associazioni di donne, singole e singoli. Un
amico mi manda un sms: Come si fa a non vergognarsi di essere un uomo - scrive.
Sgomento, rabbia, senso di angoscia, il desiderio di fare
qualcosa di concreto, forse una manifestazione nazionale, flash mob locali,
momenti collettivi per condividere la paura e l’impotenza, in un paese europeo
nel quale non c’è nemmeno più un riferimento ministeriale nel quale far
procedere il faticoso cammino della formazione al rispetto tra i generi fin
dall’asilo, uno dei più importanti argini, se non il primo strumento, per
educare alla nonviolenza, e dove i centri antiviolenza faticano a stare in
piedi.
La sensazione fisica è quella di essere nel plot di un testo
alla Stig Larson, mentre invece di realtà si tratta: della nostra, quella della
notte prima degli esami di molti figli e figlie, della vigilia della nuova
partita della Nazionale, che verrà rumorosamente giocata con tre donne, una
bambina e un bambino in meno, dei quali sappiamo perché mancano all’appello.
Il mondo non si ferma per le stragi perpetrate da uomini che
uccidono le donne, si ferma per le partite del mondiale. Mesi fa sono stata
invitata per un ciclo di incontri culturali: e le date sono state accuratamente
scelte evitando gli appuntamenti calcistici dell’Italia.
Se avessimo letto, in un romanzo, o visto in tv o al cinema, che
l’assassino prima stermina la famiglia e poi siede al bar ad esultare per la
vittoria pallonata avremmo pensato ad una trovata grottesca. Invece è tutto vero,
e manca il fiato.
Ancora qualche settimana fa, in una discussione politica, c’era
dissenso e critica sull’uso da parte delle ‘femministe’ della parola
femminicidio: mai neologismo è stato più avversato, come se la potenza della
parola, da sola, suonasse intollerabile. Un fastidioso memento della realtà,
che bastasse evitare di nominare per cancellarne la violenza evidente.
Come nell’infanzia si chiudono gli occhi, pensando che il brutto
scompaia, così in questo paese, pur a fronte del fiume di sangue che scorre
ogni settimana, molte persone continuano a negare. Negare che la violenza
contro le donne sia un problema degli uomini, negare che si tratti di una
questione politica e sociale, negare che sia una priorità da affrontare subito
e con strumenti incisivi nell’educazione alla sessualità responsabile, nella
formazione, nella prevenzione, dalla famiglia, alla scuola ai luoghi di lavoro. Quando una società chiude gli occhi, però, sappiamo
cosa accade, la storia lo ha ampiamente documentato. C’è un passaggio della
bella lettera scritta dall’Udi di Napoli, sui fatti di Motta Visconti, che usa una chiave di lettura
importante, racchiusa della parola ‘libertà’.
Per lungo tempo – si legge nel comunicato - la violenza perpetrata
in famiglia e dalla famiglia è stata dissimulata, trattata come un’anomalia di
un istituto che di per sé protegge. Un istituto che protegge e che, se non lo
fa, si è pensato e si pensa, è per errori e manchevolezze delle donne, spesso
vittime. In questo impianto culturale nelle separazioni tra donne e
uomini esplode l’ineguaglianza profondamente voluta e coltivata nel nostro
sistema: la prospettiva dell’annientamento è la minaccia immanente
sull’esistenza femminile sia che le donne lascino, sia che vengano lasciate da
un uomo. L’uomo che ha ucciso la moglie e i figli per riconquistare la
sua libertà ha mostrato nel modo più incontrovertibile che nella libertà degli
uomini non c’è spazio per quella delle donne, e che anzi la loro libertà
esclude quella delle donne. Lasciare una donna, che sia quest’ultima favorevole
o no alla separazione, rappresenta, di fatto, la liberazione dei suoi gesti e
l’impossibilità di condizionarli.
Un nodo non da poco: in questi decenni il
concetto di libertà è stato progressivamente sganciato da quello di
responsabilità, sia nell’individualità che nel collettivo. Come la cronaca ci
mostra, lo spezzarsi di questo legame ha conseguenze spaventose.
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