Appunti di fine anno: Manutenzioni e altri futuri possibili
di Monica Lanfranco*
Sto ad Altradimora,
nel silenzio della campagna invernale piemontese il cui freddo tanto mi piace e
corrobora il mio essere, decisamente, (nonostante i natali marini), una nordica
d’elezione.
Se mi metto ad ascoltare il silenzio e chiudo gli occhi, per
aiutare meglio l’udito a primeggiare, sento le voci, i rumori, i suoni che
senza segni evidenti sono comunque rimasti, impalpabili e potenti, lasciati
dalle presenze dei cinque anni trascorsi di seminari e incontri.
Alle fine è proprio così: questo luogo, come ha detto una
volta Rosangela Pesenti, è il (raro
per l’Italia) progetto politico aperto alla collettività di una femminista che
vi ha investito la sua eredità.
Ciò che in questi anni è accaduto tra queste mura, e nei
verdi spazi aperti circostanti, è stato scambio, relazione, visione,
costruzione, conflitto e sogno: molto di quanto pensato in ogni incontro annuale,
nelle Officine del pensiero femminista,
si è realizzato, non fosse altro il decidere un anno prima tutte assieme l’argomento
dell’anno successivo.
Lo stile delle Officine
ad Altradimora è quello di Marea,
il trimestrale che re - esiste dal 1994, cambiando formato e collaboratrici nel
tempo, fino a compiere, proprio nel 2014, i suoi primi vent’anni. Non pochi, in
Italia, per un giornale di riflessione e politica femminista.
Lo stile, scrivevo: ovvero provare a ragionare in anticipo,
come è inevitabile data la cadenza del trimestrale, sulle parole chiave, sui
concetti, che possano racchiudere le visioni delle donne e del pensiero
femminista nell’arco dei mesi a venire.
Forse sarà per questo che abbiamo intercettato, molto prima
di altri pezzi di femminismo, i tre temi che negli ultimi decenni sono stati al
centro del cambiamento e della mutazione antropologica, a tratti drammatica,
della politica: globalizzazione, multiculturalismo, maschile.
Di Punto G, l’evento femminista un mese prima del G8 del
2001, abbiamo detto, scritto, prodotto materiali video, audio e numeri
speciali, così come sul tema della critica al multiculturalismo, provando a
dare voce alle realtà femministe che in Europa, così come nel resto del mondo,
si battono contro i fondamentalismi, correndo il rischio di essere rubricate
come ‘coloniali’.
Anche su questo argomento abbiamo prodotto molto,
personalmente con i libri Donne disarmanti e Senza velo, e poi attraverso Marea dando spazio alle attiviste
del Wluml (women living under muslim laws), a Mariam Namazie, alla rete Women’s
Fund, solo per citare alcuni nomi.
Ma è del maschile che vorrei parlare più diffusamente,
perché recente e ancora in gemmazione è la straordinaria esperienza di Manutenzioni-Uomini a nudo, la piece
teatrale destinata a essere recitata da uomini comuni, nata dal mio libro Uomini
che odiano amano le donne - virilità sesso violenza: la parola ai
maschi.
Ad aprile, con la prima rappresentazione nella piccola Sussisa non avevo colto tutta la
portata potenziale della proposta di teatro sociale per uomini: il fatto di
essere così vicino a Genova, (e che tra gli uomini ci fossero due presenze
familiari) aveva dato maggiormente risalto al lato ‘leggero’ ed episodico della
proposta.
E’ stato con il laboratorio e la spettacolo di Modena,
voluto grazie all’aiuto generoso della Casa
delle donne e di Elena Buffagni che
ho capito che la proposta del visionario e vulcanico uomo di cultura Ivano Malcotti, visionario e vulcanico
uomo di cultura era quella giusta. Creare un copione dal libro, non inventando
nulla ma attingendo da esso per le frasi, i pezzi più incisivi ed emozionanti,
un testo da far leggere e recitare da uomini comuni era ciò che doveva essere
fatto. Era l’evoluzione necessaria di un percorso di relazione che prendeva il
largo, verso approdi inediti.
Il libro è la restituzione scritta senza mediazione delle
risposte di 300 uomini a sei domande: la piece è il suo lato fisico, l’acting out materiale del flusso
emotivo che il testo offre, il corpo reale di tutta l’emotività che le parole
scritte sono impossibilitate a fisicizzare nella sola lettura.
A Modena prima, a
Pinerolo, a Macomer e ad Atzara poi, (in previsione nel 2014 ci
sono Bagnacavallo, nel Teatro settecentesco
Goldoni, grazie all’aiuto di Nadia Somma
e in preparazione a Corciano, Roma,
Matera, Torino, Genova e chissà dove ancora) si è realizzato qualcosa che
in Italia non era mai accaduto: degli uomini comuni, la cui maggioranza non fa
teatro e non si è mai rapportato in prima persona con il lavoro di una
femminista hanno coinvolto, oltre a loro stessi, altri uomini, le loro famiglie,
pezzi di collettività, (nel caso di Pinerolo la bella prova è stata fatta da
attivisti di Uomini in cammino, uno
dei gruppi di impegno maschile più antichi in Italia) nella restituzione di
parole vere di altri uomini, gli sconosciuti che hanno risposto alle sei
domande sulla sessualità, sulla violenza e sulla virilità proposte a giugno del
2012 sul blog.
Quando, durante le presentazioni del libro trovavo uomini e
donne che mi dicevano che a casa avrebbero provato a rivolgere le domande ai
loro compagni, o che se le sarebbero poste per provare a rispondere, pensavo quello
fosse il risultato più gratificante e appagante che chi scrive poteva raggiungere,
l’obiettivo migliore del proprio lavoro.
Mi sbagliavo: quella era, ed è, una ricaduta bellissima e
importante, ma c’era ancora qualcosa di più che il libro poteva gemmare.
Se è vero che la politica è tale se comprende e si nutre della
relazione anche con i corpi allora il progetto di Manutenzioni-Uomini a nudo
è il frutto politico maturo, ricco e
fecondo di questo intreccio.
Parlo dell’intreccio tra una femminista (anzi due, oltre a
me nella sceneggiatura della piece c’è anche Laura Guidetti) e un uomo come Ivano
Malcotti, ma soprattutto quello tra
l’interrogazione di una femminista al mondo degli uomini con le domande e poi, passo pieno di promesse, nel coinvolgimento
del corpo e dell’emozione nella scena teatrale.
In entrambi i casi si tratta di una chiamata alla
responsabilità, e quella attraverso il teatro di parola è un’offerta pubblica
di discussione e di rimessa al centro dei temi iniziali cari al femminismo:
sessualità, corpo, relazione, responsabilità.
Uscire dal silenzio maschile, dalla tradizionale reticenza
degli uomini a confrontarsi con le emozioni, dalla tentazione di svicolare
dagli oneri che la relazione e il dialogo chiedono, questo e molto altro
significa la scelta di far parte del progetto della piece teatrale.
La sensazione che ho avuto, confermata ad ogni laboratorio e
ad ogni debutto, è che qualcosa di tangibile accada con questa proposta: il
circolare di emozione, di commozione, di trepida attesa non è magìa ma
l’attuazione concreta del fare politica come manutenzione del quotidiano.
Se è vero che “la vita è al 90% manutenzione”, allora
abbiamo visto giusto.
Sarà bello, nel 2014, rimettersi in viaggio verso nuove
destinazioni e incontrare altri uomini che vorranno mettersi in gioco, nel
laboratorio e poi al debutto, per fare questa esperienza che si può chiamare
teatro sociale ma che soprattutto è, per me, minuscola e tenace pratica di
erosione e argine contro la violenza maschile e l’ottusa banalità del
conformismo degli stereotipi sessisti.
A presto, dunque, nei teatri (se ci saranno), oppure on the
road, in qualunque luogo dove si possa stare insieme a riprogettare relazioni
di pace ed empatia.
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